Francesco Musso è il titolare di Senduis, un locale nato a Bra nel 2019 e già apprezzato – anche dagli addetti ai lavori – per la sua qualità nella proposta dei cibi. Scopriamo qualcosa di più con la nostra intervista esclusiva.
Senduis, in dialetto, sarebbe la traduzione di “sandwich”. Hai detto poco: per creare un ottimo “senduis” bisogna avere una grande abilità, perché spesso è nelle cose che sembrano più facili che si cela la difficoltà maggiore. Francesco Musso, dopo tanti anni passati a cucinare in Italia e all’estero, si è guadagnato sul campo il rispetto del mondo culinario, tanto da essere notato e citato addirittura dalla guida de Il Gambero Rosso.
“Competenza e gentilezza” si legge sulla recensione e crediamo che non ci siano maggiori complimenti che questi: quando si sceglie di fare ristorazione, lo si fa per passione, ma dietro il moto che muove chi cucina ci deve essere studio e rispetto per il cibo. Francesco ha dimostrato di saper accogliere gli ingredienti e di amarli come è giusto che sia.
Ecco quello che ci ha raccontato.
Francesco Musso: “Senduis, la mia passione”
Parlaci un po’ di te e come è nata l’idea di Senduis.
Ho sempre fatto il cuoco nei ristoranti; ho frequentato l’alberghiero, ho finito tutti i vari studi per diventare cuoco. Ho fatto la gavetta, sono stato anche in Australia a fare delle esperienze in qualche cucina. Nel mezzo mi sono iscritta allo IED – Istituto Europeo di Design – e a 26 anni mi sono laureato, prendendo una pausa dalla ristorazione. Poi sono ritornato a cucinare però gestendo la cucina, facevo i menù. Ad un certo punto questa vita è diventata troppo stressante – perché nel frattempo mi sono sposato e ho avuto un bambino – e mi sono detto “non posso più lavorare 70 ore a settimana”. Allora mi sono guardato intorno: all’inizio ho provato a avviare una sorta di piccolo ristorantino e in diverse situazioni è sempre successo qualcosa che mi ha impedito di aprire. L’ho preso come un segno; poi dopo un viaggio in Thailandia, casualmente passeggiavo a Bra e ho trovato su una serranda l’annuncio di affitto. Vado a vedere il locale e subito sento che è quello giusto, perché è piccolino e in una zona non troppo centrale, quindi i costi sarebbero stati sostenibili.
La verità è che quando ho firmato il contratto d’affitto, cioè il giorno stesso in cui l’ho visto non avevo nessuna idea di cosa farne: sapevo che volevo farne qualcosa intorno al cibo, ma ancora non sapevo come. Poi durante i lavori, la progettazione ha preso forma: ho messo le due cose che conoscevo di più – la cucina, sotto forma di gastronomia, un mondo che in realtà invece conoscevo poco perché in gastronomia si ragiona in modo diverso visto che qui i prodotti vengono presi e scaldati a casa – e poi una serie di panini più ricercati, che ho chiamato “gourmet”. Anche i piatti, come i panini, seguono le stagioni e cerco di mantenere una linea. anche se ultimamente le persone non riconoscono più quando un prodotto è di stagione.
La vostra filosofia riguarda una certa consapevolezza per gli ingredienti: come scegliete le materie dei menù? E qual è la vostra idea di cucina?
Mi piace prendere prodotti da produttori locali, quindi mi piace anche avere un rapporto umano con le persone. Fortunatamente accanto a noi abbiamo una macelleria e di fronte un verduriere, persone che prestano molta attenzione alla genuinità delle materie prime, quindi molte cose le prendo da loro.
Avendo viaggiato abbastanza mi piace mischiare i tipi di cucina e le tradizioni, mantenendo la nostra tradizione cambiando alcuni ingredienti: lo facevo già nei ristoranti e quindi la mia idea è quella di toccare il meno possibile la materia prima, anche nei panini e nei piatti gli ingredienti non sono mai tanti, per scelta.
Essendo voi a Bra siete in territorio ricco di tradizione enogastronomica: questo ha influenzato la tua idea di ristorazione?
Assolutamente, anche perché io non conoscevo questa attenzione per il cibo molto alta che c’è a Bra. Certo, qui è nato Slowfood e ci sono tante associazioni: ci sono per esempio diverse panetterie, diverse gelaterie molto attente alla qualità del prodotto, piccole realtà veramente di nicchia. Qui anche i clienti sono molto esigenti su ciò che mangiano.
Una proposta sicuramente inusuale è quella dello chef a casa tua, ce ne puoi parlare?
Ho lasciato questa porta aperta per continuare a fare questo tipo di cucina espressa, che la gastronomia non ti consente di fare per una questione proprio tecnica: ad esempio è impensabile uno spaghetto al dente. Ho tenuto aperta questa porta per me, per il piacere di cucinare per pochi e riuscire a curare al massimo i dettagli; nell’ultimo periodo ho avuto diverse richieste, ma tendo a non prendere in considerazione numeri troppo grandi, diciamo che preferisco cucinare per sei massimo quindici commensali. Spesso nelle cucine casalinghe non ci sono le attrezzature per fare un servizio di qualità; studio dei menù col cliente e cucino a casa sua, io mi porto una linea di base, poi rifinisco l’impiattamento, la cottura della pasta.
Perché dovrebbero venire proprio da voi.
Faccio quel che faccio non per lavoro ma perché mi piace, se lo dovessi fare per un motivo economico cambierei assolutamente mestiere. Quindi è fatto col cuore: può solo che funzionare.